09 - 01 - 2000

Nel 1259 i governi di Milano e di Firenze vietarono di suonare le campane a morto in tempo di pestilenza e quindi di accompagnare i funerali evitando che le persone si riunissero favorendo il contagio, inoltre obbligarono a seppellire i morti fuori città invece che nelle chiese. Nel 1326 la città di Bologna chiuse le frontiere per difendersi da una grave epidemia di peste che aveva colpito Modena. Nel 1348 Lucca escluse tutti coloro che erano giunti nell’ultimo anno dalla Romania anch’essa sede di pestilenza e nel 1374 Bernabò Visconti, signore di Milano, ordinò che tutti i malati di peste uscissero fuori dalle mura rimanendo nei boschi o nelle capanne fino a che non fossero morti o risanati.

Sono queste le prime leggi che in nome della salute limitavano la libertà individuale sulla scia di quanto da sempre veniva fatto per difendersi dalla lebbra. I lebbrosari infatti erano noti da tempo come luogo di confino degli ammalati, ma sono di quegli anni la costituzione della quarantena e la costruzione dei lazzaretti.

La prima la si deve alla Repubblica di Ragusa (1377) che, nell’imitare Venezia che vietava l’approdo delle navi sospette, indicò un luogo prossimo al porto nel quale queste potevano sostare per trenta giorni che furono poi portati a quaranta, senza sbarcare uomini o merci. Il primo lazzaretto invece fu edificato proprio a Venezia (1403) nell’isola piccola prossima a quella detta di S. Lazzaro degli Armeni da cui forse prese il nome, anche se essendo i lebbrosari sottoposti alla protezione di S. Lazzaro (in virtù della confusione fatta fra il Lazzaro lebbroso miracolato e il S. Lazzaro risuscitato) non è da escludere che il nome di lazzaretto sia nato da un contagio linguistico che ha fatto associare le due istituzioni.

Con quattro secoli di anticipo sull’invenzione del microscopio e cinque sul nascere dell’Igiene Pubblica, pur senza avere una conoscenza adeguata dei meccanismi di contagio, i flagelli della peste, del colera, della malaria, della sifilide e di qualsiasi altra malattia contaminante vennero dunque fronteggiati impartendo rigide e spesso inumane (vedi le disposizioni del Visconti) norme comportamentali.

Dobbiamo queste notizie al Pazzini (Storia dell’arte sanitaria) che abbiamo utilizzato per ricordare come le grandi epidemie siano state combattute con interventi repressivi (divieti, espulsioni, isolamenti) di polizia sanitaria e che da quegli interventi è nata sul finire del XVIII secolo l’Igiene. Scienza che ha consentito alla medicina di appropriarsi della gestione del quotidiano (la casa, il vestire, l’alimentazione, l’attività sessuale, l’attività fisica, ecc.) e, ispirandosi a quelle rigidità normative che avevano caratterizzato la lotta contro le malattie contagiose, si è andata sostituendo all’autorità degli educatori e dei religiosi per imporre una morale salutista.

Si sono venuti così a creare sistemi di controllo (la regolamentazione della prostituzione, la sterilizzazione coatta) e di repressione (interdizioni delle prostitute, dei malati mentali,), falsi concetti epidemiologici (negli anni venti erano le donne la causa della diffusione delle malattie veneree, negli anni ottanta sono stati i gay ad essere incriminati del contagio da HIV) e la salute si è identificata in una condizione premio riservata a chi si comporta secondo le regole. Ciò ha inevitabili conseguenze sugli interventi di prevenzione poiché ne giustifica gli aspetti normativi e impositivi.

E’ possibile infatti che la prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse affidata ad igienisti nostalgici, semplicistici, autoritari e moralisticheggianti si riduca all’indicazione di comportamenti da evitare e di precauzioni da adottare ponendo i destinatari nella condizione di scegliere fra la norma e la trasgressione, fra l’ordine di una condotta approvata e il disordine di un comportamento a rischio. Così facendo il valore da perseguire diventa l’obbedienza e non la promozione della propria salute e la salvaguardia dell’altrui, con tutte le conseguenze immaginabili soprattutto per l’età dell’adolescenza quando il rischio e la trasgressione esercitano un fascino particolare.

Non sono più i tempi di una prevenzione repressiva e di una igiene normativa; per essere efficace la strategia degli interventi deve fra l’altro promuovere la consapevolezza delle scelte e la libertà di decidere criticamente e responsabilmente i propri comportamenti in maniera che il bene da perseguire sia la salute e non la passiva adesione alle norme imposte. In questo senso la prevenzione delle MST si allinea con una educazione sessuale che intende trasferire strumenti conoscitivi e di linguaggio per la costruzione della propria identità poiché anche la prevenzione fornirà strumenti affinché ciascuno si faccia artefice responsabile della propria salute e non debba scegliere fra l’obbedire e il trasgredire.

Gennaio/Febbraio 2000 –Anno VIII- n° 2

In “Frammenti di Sesso” CIC, 2005